Mamma li Turchi
Giovanni Dionigi Galeni, calabrese, figlio di pescatori, era un giovane malaticcio, che, si diceva, stesse studiando per darsi alla vita monastica. Un giorno, nell’anno del Signore 1536, nei pressi di Le Castella, mentre si trovava in campagna ed era intento a raccogliere erba o a pascolare i maiali (secondo altre fonti, invece, viaggiava su una nave diretta a Napoli), i turchi del feroce Barbarossa assalirono il castello.
Molti gli uccisi: Giovanni, più fortunato, insieme ad altre migliaia di suoi conterranei, fu fatto prigioniero e messo a remare in una delle galee. Col passare degli anni il giovane, dotato di grande talento, riuscì a mettere in luce le sue qualità e dopo un po’ rinnegò la fede cristiana (i veri motivi dell’abiura si perdono nelle ipotesi e nella leggenda). Il corsaro, che lo aveva in consegna, anch’egli un calabrese convertito all’Islam, gli diede in sposa la figlia e gli affidò il comando di una nave. Comincia qui la gloriosa carriera di Giovanni, conosciuto dai musulmani come Uluç Alì (Alì il rinnegato: da schiavo ad ammiraglio della flotta turca.
Scorrerie e stragi in tutto il Mediterraneo costellano di strepitosi successi la vita di questo corsaro calabro, che i cristiani, storpiandone il nome, chiamano Occhialì o Uccialì. Combatte contro i Cavalieri di Malta, affronta Giovanni
Andrea Doria e Scipione Doria, mentre Emanuele Filiberto, duca di Savoia, gli sfugge solo per miracolo.
Governatore d’Algeri, di Tripoli e di Tunisi, diviene ammiraglio della flotta turca subentrando al famoso Dragut. È l’unico comandante ottomano – e questo rappresenta il suo più grande trionfo – a uscire salvo dalla Battaglia di Lepanto, riuscendo a portare con sé a Costantinopoli parte delle navi e, come trofeo, lo stendardo deiCavalieri di Malta. Nominato comandante in capo della marina turca, gli viene concesso l’onore di fregiarsi del nome Kalige-Alì, cioè Alì la Spada.
Riorganizzata la flotta, continua a uccidere e a imperversare sulle coste calabre, campane, pugliesi, greche, cipriote, africane e spagnole, divenendo per qualche anno dominatore incontrastato del “Mare Nostrum”. Nel 1582 si ritira finalmente nei pressi di Istanbul, su un colle ove fa costruire una splendida moschea e un villaggio denominato, a quanto si dice, “Calabria Nuova”. Magnanimo con gli schiavi cristiani, cui permette di conservare i propri costumi, la lingua e persino il credo religioso, muore misteriosamente, forse assassinato, nel 1587 (secondo altre fonti nel 1595).
Citato come Uchalì da Cervantes, anch’egli schiavo dei turchi, nel Don Chisciotte, Uccialì deve la sua fama leggendaria alla storia – cui, al contrario degli uomini, non fanno specie i paradossi – e non al mito: i cittadini di Le Castella, sulla piccola piazza esposta a Oriente, verso la fortezza, gli hanno eretto un busto bronzeo, intitolando il largo a suo nome.